“Volere è potere”: questa è la pietra filosofale e fondante di tutto l’edificio sociale e culturale occidentale. In campo educativo però questo detto assiomatico deresponsabilizza l’insegnante dal suo mandato: chiedersi cioè quale sia il suo limite o quello dell’allievo per poter operare una strategia pedagogica necessariamente più “invogliante”. Se infatti il vissuto dello studente inizia con ciò che lui sa fare e che può fare, l’implicazione immediata sarà un’esperienza di successo il cui destino diverrà, nella maggior parte dei casi, ripetuto. Anche il concetto di “zona prossimale”, descritto da Vygotski, si allinea a questa conclusione. Si tratta quindi di capire in quale zona di competenza si muove un DSA, presumendo che questo territorio faccia parte anche del nostro mondo anche se non ancora scoperto o del tutto esplorato.
In questo senso tutto ciò che l’insegnamento tradizionale ha somministrato sinora, mal tollerato da un allievo con questa caratteristica, dovrà essere disimparato per aver accesso a una visione di una realtà antecedente. Il ragazzo dislessico infatti inizia il percorso faticoso della sua esistenza nel momento della scolarizzazione. Fino a questo momento il suo modo di elaborare il reale non rende problematica la sua vita e lui stesso non ha coscienza della sua caratteristica. Come chi è miope, che non sa di vedere diversamente o meno degli altri non avendo alcun termine di paragone se non se stesso, lo scoprirà solo quando si sottoporrà ad esami specifici e di conseguenza inforcherà quel paio di occhiali, misura compensativa, che cambierà la sua vita. Si dovrà quindi traghettare l’allievo verso questo nuovo motto: “Potere è volere”. Ovvero, attraverso la conoscenza di sé, del proprio profilo cognitivo ed emotivo, i giusti ed adeguati strumenti compensativi, si svilupperà i potere dell’apprendimento che renderà la scuola un luogo migliore dove vivere ed apprezzare il piacere della conoscenza.